Guerra sul Danubio (376-377) - Ep. 16 (3)
ARRIVANO I RINFORZI
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Finalmente Valente venne informato del disastro e inviò delle truppe dall'Armenia al comando di due carneadi: la risposta di Valente dimostra che stava ancora sottovalutando il problema, visto che si rifiutò di muoversi da Antiochia e di portare le sue truppe migliori in Europa per soffocare la rivolta. Per fortuna per lui l'ambasciata di Temistio a Milano aveva prodotto i suoi frutti e dall'occidente arrivarono rinforzi: al loro comando c'era il Comes Domesticorum, il comandante in capo della guardia imperiale occidentale, ovvero il franco Richomeres. Siamo arrivati alla primavera del 377, l'anno del consolato di Graziano e Merobaude.
Le forze combinate di occidente e oriente riuscirono a spaventare i razziatori Goti al punto da costringerli a riunirsi in un unico gruppo che si spostava con i suoi carri e tutti i familiari. Durante la notte i Goti proteggevano il campo mettendo i carri in un cerchio, in un accampamento che loro chiamavano carrago. Si trattava solo dei Tervingi: non è chiaro cosa successe ai Greutungi ma pare che dopo la prima battaglia a Marcianopoli tornarono al nord del Danubio: non preoccupatevi, li ritroveremo presto. I Tervingi si ritrovarono intrappolati nella Dobruja, la regione stretta tra la grande ansa che fa il Danubio prima di sboccare nel Mar Nero: un angolo sperduto dell'impero, praticamente steppa non coltivata e senza grandi potenzialità di rifornimento. Quel che è peggio è che questa regione è circondata su tre lati dall'acqua: il mar Nero a est e il Danubio a nord e Ovest. I Tervingi erano in trappola.
I Romani bloccarono i Goti in questo angolo sperduto dell'impero: questi si ritrovarono con le spalle al muro: avrebbero potuto combattere o avrebbero potuto a questo punto tentare di abbandonare il territorio imperiale. I Romani avrebbero potuto mantenere il blocco fino a che i Goti si fossero arresi per fame o invitarli a passare il Danubio ma i comandanti dell'esercito volevano probabilmente vendicare i commilitoni. Richomeres e gli altri generali Romani decisero di assalire i Goti quando questi si fossero messi in moto verso nord e il Danubio, in modo da colpire la retroguardia e con un po' di fortuna recuperare un po' delle ricchezze trafugate dai Goti. Questa notizia fu però riferita a Fritigern da uno dei soliti disertori. I Tervingi si erano fermati nel loro classico accampamento di carri in una località chiamata “ad salices” o “ai salici”, nella moderna Romania.
APPUNTAMENTO SOTTO I SALICI PIANGENTI
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Il giorno dopo, anticipando i Romani, i Tervingi uscirono dall'accampamento armati di tutto punto e pronti alla battaglia mentre i corni dei Romani suonavano l'allarme. I Tervingi si schierarono su una collina e i Romani si affrettarono a dispiegare il loro esercito che era probabilmente in leggera inferiorità numerica ma che poteva contare sulla saldezza, professionalità e disciplina dei soldati Romani. Ecco cosa avvenne nelle parole di Ammiano “I combattenti si guardavano reciprocamente con sguardi torvi e feroci. I Romani lanciavano all'unisono d'ogni parte il grido di guerra, il barritus, che, debole da principio, cresce a poco a poco. I barbari invece con urla selvagge celebravano le lodi dei loro antenati e in mezzo al clamore delle diverse lingue s'ingaggiavano scaramucce”.
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La battaglia iniziò con il consueto lancio di dardi e poi si venne ad un brutale corpo a corpo: i soldati Romani impiegarono le tecniche di cui ho parlato nello scorso episodio, utilizzando le lance e le armi da assedio per spingere i nemici a cedere e volgersi in fuga, cosa che era sicuramente già successa molte volte. Ma i Goti non erano nelle stesse condizioni del passato: erano stretti in un angolo, avevano bruciato i ponti dietro di loro e questa battaglia era ancora una volta un caso di vita o di morte per loro e il loro popolo. Combatterono con ferocia e provarono persino ad utilizzare delle macchine di artiglieria catturate ai Romani. Sotto la spinta incessante delle loro spade l'ala sinistra dello schieramento Romano cedette ma le riserve riuscirono a bloccare l'avanzata dei Goti. La notte sorprese i due eserciti mentre la battaglia era ancora indecisa, ponendo fine agli scontri. A differenza del solito i Romani avevano subito molte perdite e indubbiamente le subirono anche i Goti, che si rintanarono nel loro accampamento e non ne uscirono per una settimana, leccandosi letteralmente le ferite.
SE NON PUOI BATTERLI, PRENDILI PER FAME
Richomeres e i due Carneadi capirono però che in seguito alla battaglia non avevano le forze per un secondo scontro, che avrebbe potuto essere fatale per le armi romane. Decisero quindi una nuova strategia: si sarebbero ritirati dietro i Balcani e avrebbero lasciato ai Goti le terre tra questi monti e il Danubio, oramai rovinate dalla guerra e le cui città ben difese e ben fornite di viveri potevano resistere alle orde Gotiche. I Romani decisero di fortificare i cinque passi che separavano la Moesia – la regione a nord dei Balcani – dalla Tracia e le ricche terre intorno a Costantinopoli. Con un po' di fortuna i barbari sarebbero morti di fame o di freddo in quella terra devastata, oppure se ne sarebbero andati via da soli. Si era alla fine della stagione di guerra e Richomeres fece ritorno in Gallia, promettendo di ritornare l'anno seguente con maggiori rinforzi da parte dell'impero d'occidente.
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Fritigern, oramai padrone della Moesia – o almeno delle sue campagne – non era però uno stupido barbaro. Dopo la battaglia ai Salici aveva a disposizione un notevole bottino saccheggiato ai Romani e la fama di uno che riusciva ad affrontarli sul campo. Con le nuove reclute la bilancia militare – in equilibrio precario nella regione – pendette di nuovo a favore dei Goti. A questo punto il comandante delle truppe orientali – Saturnino – decise che non era più possibile tenere i passi e così fu costretto a ritirarsi. In quell'inverno del 377-378 I Goti, trionfanti, fecero irruzione nelle ricche terre a sud dei Balcani: la regione di Costantinopoli, una delle più ricche dell'impero. Quest'inverno non sarebbero morti di fame, anzi. Avrebbero portato la guerra alle porte della capitale dell'Impero. Valente, in oriente, capì che non c'era più nulla da fare. Inviò un messaggero per intavolare trattative di pace con Shapur e iniziò i preparativi per portare l'esercito da campo d'oriente, il suo comitatus, le sue truppe palatine e la sua guardia, a combattere nei Balcani.
Nel prossimo episodio Valente giungerà in Tracia e organizzerà una missione militare congiunta dei due Imperi Romani. All'ultimo momento deciderà però di giocare tutto alla roulette di una battaglia senza precedenti.